Sul tempo dei bambini e sul nostro tempo

Sul tempo dei bambini e sul nostro tempo

Con cosa ci stiamo confrontando oggi?

Con il tempo vuoto. Il tempo, meglio sarebbe dire, sgombro. Sgomberato da tutto ciò che abbiamo costruito per non avvertirne il monito. Antico monito. Che stai facendo del tuo tempo?

Domanda a mio giudizio essenziale, nevralgica, fondativa, per ogni vita che possa dirsi umana.

Gli animali non hanno, o almeno è questo che finora sappiamo, bisogno di farsi questa domanda, Perché essi vivono, e basta.

Noi no, noi, ad ogni momento, decidiamo che fare del nostro tempo, del nostro corpo, delle nostre relazioni, sospinti da motivazioni che hanno sempre meno di istintivo e biologico e sempre più di artificiale e culturale (in senso lato).

Ora, a causa della quarantena (forse i quaranta giorni che Cristo passò nel deserto? Se è così quanto ne avevamo bisogno! E lo dice un non credente patentato), eccoci faccia faccia con il tempo.

Al tempo stesso un orco spaventoso e un’occasione preziosissima.

Non sprechiamola.

Non cerchiamo scappatoie. Non bamboleggiamo con le istruzioni di questo o di quest’altro istruttore. Buone o cattive che siano.

Di fronte al tempo non c’è una soluzione preventiva.

Quanti si affaticano a proporci come riempire quel tempo, specie quello dei bambini e degli adolescenti, sono i figli del tempo saturo. Semmai preoccupiamoci di evitare che bambini e adolescenti stivino il loro tempo di altra materia anestetica, oltre a quella che dalla nascita gli è piovuta addosso da parte di una società che ha come specialità raffinatissima proprio quella di stornare da quella famosa fatidica domanda.

Il caso, o forse la Nèmesi, vuole che oggi si sia confrontati a questo dilemma.

Allora non perdiamo anche questa volta l’opportunità.

Guardiamo dentro al vuoto, guardiamo come l’abbiamo riempito finora, con quali oggetti, relazioni, attività. Misuriamole. Tastiamole, Valutiamole. Che cosa stiamo facendo della nostra vita? Dove la stiamo impiegando, o più probabilmente gettando via?

Molti si affannano a riempire il tempo di bambini e ragazzi, naturalmente ponendo al primo posto quella impostura folle dei compiti, del continuare a fare girare la ruota del criceto.

Gli adulti non smettono di lavorare. Smartlavorano. Pur di non smettere. Pur di non trovarsi faccia  faccia con le domande che hanno probabilmente quasi sempre evitato.

Che ne è della mia vita, di quella di mio figlio, del mio amore (sempre che si sappia di che si tratta), quella del mio vicino, degli alberi, della terra, del cielo?

Non voglio neppure impegnarmi a spiegare a chi non ha davvero orecchie per intendere che riempire forsennatamente il tempo è il modo certo per sprecare questa che forse sarà una delle ultime occasioni.

Forse anche un’occasione, diciamolo apertamente, di disintossicazione.

Quando ho scritto un piccolo post dove, sulle orme di Rilke, dicevo qualcosa di simile a ciò che aveva scritto in una sua lettera e suggerivo di provare semplicemente ad essere, come un gatto o una pietra o un fio d’erba, mi riferivo a questo.

Proviamo ad essere, ad esserci, semplicemente. A metterci in ascolto.

C’è un po’ più di silenzio oggi, almeno fuori dai centri di dolore. Se non possiamo essere lì, nei centri di dolore, dove avrebbe certo cercato di essere un’anima enorme come quella di Etty Hillesum, cerchiamo almeno di trasformare questo nostro vuoto in un vuoto di rinascita.

Rinascere alla vita e non a quella caricatura di insetti tossicodipendenti che abbiamo inscenato in questi ultimi decenni per arrivare ad essere soli, confusi, storditi.

Stiamo nel vuoto, con chi abbiamo vicino e anche se non abbiamo nessuno vicino. Piano piano le cose , le relazioni, persino le pulsioni, ci chiameranno. Saranno loro a chiamarci, mano a mano che abbandoneremo le nostre dipendenze. E se abbiamo bisogno di metadone, d’accordo. Purché però sia metadone. Possiamo ancora farci di un poco di lavoro, di televisione, di compiti persino. Ma sempre che sa chiaro che di tutto questo ci dobbiamo sbarazzare, almeno fino a quando non sentiamo, nel senso più profondo del nostro sentire, che quelle cose ci corrispondono, che sono il sale della nostra vita. E non di quella che ci è stata prescritta, per rubarcela.

Non date compiti ai ragazzi e ai bambini, lasciate che piano piano ritrovino il gusto di un fare che sia loro, di un’esperienza della vita che sia loro.

Ma lo stesso vale per noi. Riaffiniamo la nostra sensibilità. O incominciamo a farlo, se non l’abbiamo mai avuta.

Ogni altra chiacchiera, discussione, polemica, è fiato sprecato.

Prendiamo la via del deserto (non certo in senso ascetico, mi auguro che il deserto ci farà fare più l’amore e tenere tra le braccia i nostri figli e i nostri anziani, almeno per chi può ancora stare vicino e toccarsi) ma prendiamola come un sentiero che forse non porta da nessuna parte (come i sentieri interrotti di Heidegger) ma che proprio per questo rischia di farci incontrare noi stessi. O almeno dei noi stessi possibili, più vivi.

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2 comments on “Sul tempo dei bambini e sul nostro tempo”

  1. S.

    Grazie per le sue parole mi hanno portata a indagare sui miei penseri, sui miei vissuti.
    Il virus che abbiamo incontrato è stato definito spesso il virus della distanza e della paura. Questo ospite inatteso, un intruso inquietante perché invisibile e impalpabile che non si lascia intercettare dai nostri sensi,ha sortito effetti del tutto lontani da questa definizione. Alchemicamente direi ci sta portando verso una trasmutazione. E’ invisibile eppure ha reso drammaticamente visibile la nostra fragilità e chiudendo le case ha invece aperto il nostro sguardo sulla realtà della “famiglia” italiana. Una famiglia che senza prescuola, scuola, doposcuola, lavoro a tempo pieno non riesce a stare nello stesso spazio. Uno spazio che peraltro si è rivelato non essere mai divenuto luogo di affetti, di amore e piacere reciproco. Coniuge, convivente e figli sono stati per molti quasi più insopportabili del virus, appena aperte le porte si sono richiuse le menti alla riflessione su questo periodo di chiusura con i vecchi schemi che ci ha permesso di spalancare il nostro immaginario su un mondo diverso. Ho sentito la sofferenza, la nigredo della morte e del dolore ma il tempo piacevolmente lento trascorso con quella persona meravigliosa quell’agente cosmico come direbbe la Montessori che dovrei chiamare “mia figlia” mi ha profondamente cambiata. Non vedo più il mondo e il tempo di prima, l’oro del soffermarsi, della lentezza, della tenerezza non spezzettata dai tempi della scuola e del dover fare è stato incredibile. Ha cambiato spero per sempre il mio immaginario. Non mi piace usare l’espressione “mia figlia” quel possessivo non le si addice e quel figlia la limita: per sua fortuna non è solo mia e non è solo figlia.
    In un tempo difficile come questo spesso è tornata a riecheggiare nel profondo la domanda che mi ponevo anni fa: perché un figlio? Forse lo so dire, lo so sentire meglio adesso: per vivere insieme un’avventura, una scoperta piena di meraviglia, di gratitudine, di sorpresa come quando usciamo e lei ha mille domande su tutto e io resto incantata di fronte al suo sguardo indagatore non ancora annebbiato dal tempo a scomparti stagni di noi adulti.
    E’ il tempo del coraggio di sottrarsi a versioni già pensate e provare a tracciare nuove vie verso mete nuove.

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    • wp_8552554

      Grazie del suo splendido commento.Condivido molto anche la lettura alchemica degli eventi che ci sono capitati. E credo che la chiusura, come cottura nell’alambicco della solitudine (così è stato per me, lei ha potuto rifornirsi alla bellezza di sua figlia, cogliendone probabilmente l’essenza) sia stata un’occasione importante che naturalmente la fretta del nostro mondo ha cercato di annegare in mille impegni attraverso la piovra dell’online. Abbiamo avuto l’occasione per scendere nella nigredo. Mi fa piacere sapere che almeno lei l’ha fatto, anche se non la conosco.
      Un cordiale saluto
      Paolo Mottana

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