L’urlo soffocato dei bambini e dei ragazzi

L’urlo soffocato dei bambini e dei ragazzi

Faccio una fatica enorme a tornare su argomenti che mi sembrano così ovvi e evidenti e tuttavia mi sento in dovere di farlo visto il coro unanime che ancora sembra vedere in quella struttura kafkiana che è la scuola la risposta alle attese vitali, culturali, semplicemente umane dei nostri bambini e ragazzi.

Cerchiamo di vedere, non di guardare attraverso gli infiniti filtri derivanti dalla nostra esperienza di educastrati fin da piccoli, cosa è la scuola.

Proviamo a scrostare il nostro sguardo da memorie più o meno gratificanti o frustranti che colleghiamo a quella stagione della nostra vita, che anche trascorsa in aule di concentramento, resta pur sempre l’unica giovinezza che abbiamo avuto.

Cerchiamo di vedere il bambino, l’adolescente, di guardare chi è, che forma ha, come si esprime e soprattutto come potrebbe esprimersi prima di entrare in quel luogo che ne sopprime a manipola la gran parte.

È vita nascente, puro potenziale, corpo festante, apertura, curiosità, desideri, affetto e energia infaticabile. Basta guardare un bimbo o una bimba sui quattro o cinque anni per non avere dubbi, quando giocano da soli o con altri in uno spazio libero.

E noi ci ostiniamo a rinchiudere questa “carne di vita” (tocca citare Shakespeare) in quei loculi chiamate aule scolastiche? Dove tutto ciò viene mortificato, soffocato, lentamente e inesorabilmente soppresso?

Quello che mi stupisce, anche in persone di buona volontà, è questa totale mancanza di sensibilità, di semplice “occhio”. E orecchio.

Basta guardarli appassire, anno dopo anno, sottoposti alla disciplina scolastica, che comunque la si travesta, è durissima. Durissima. Durissima specie per chi non l’ha scelta, non la desidera, e invece si vede lontano un miglio che vorrebbe essere altrove, a fare altro, a nutrirsi di altro.

Come possiamo aver escogitato questa folle gabbia, che razza di esseri siamo (non ci voglio neppure chiamare umani o forse sì, la nostra colpa è proprio di essere umani, visto che gli altri animali non si comporterebbero mai così con i loro cuccioli)?

Bambini e adolescenti vogliono vivere. Vivere pienamente, assecondando la propria curiosità, i propri talenti man mano che si manifestano. Vogliono esprimersi, conoscere ma fuori dalla gabbia, in situazioni a loro adatte, dove non sono controllati e valutati per ogni cosa che fanno. Sbagliando e riprovando senza giudizi, come è naturale in ogni cosa che si sta imparando. All’interno di esperienze normali, di ogni tipo, dove il termine esperienza indica il grado di coinvolgimento che quella situazione che incontrano, quale che sia, permette loro di vivere.

Se possibile nel cuore del mondo, nelle sue strade, nella sua natura, nelle sue attività di ogni giorno. Nel gioco, nel cimento fisico, nella creazione, nell’esplorazione. Nell’incontro con altri, di ogni tipo, passando del tempo con loro, che siano operai, idraulici, fornai, vigili urbani, infermieri, alpinisti, pescatori, poeti o cantanti. Ogni cosa, se è reale, se proviene da un contesto non fittizio e non coercitivo diventa interessante per una giovane vita. Ogni cosa obbligatoria, sotto minaccia, sotto ricatto, diventa una tortura, specie se impegna solo un piccolo settore dell’immensa disponibilità che c’è in un cucciolo d’uomo, la sua testa, la sua memoria, il suo presunto e ovviamente il più delle volte del tutto fuori luogo interesse per le materie scolastiche. Una specie di ruolino di marcia per futuri schiavi di una società dove obbedisci o sei fuori.

Forse la proposta dell’educazione diffusa è troppo stravagante per i fautori dell’ordine immutabile che vede bambini e ragazzi all’ultimo posto dei diritti e della rilevanza sociale (cioè produttiva) di questa società indifendibile.

Lo capisco, poveretti, sono come pugili suonati, a furia di voti, imposizioni, repressione, sono diventati ciò che dovevano diventare, questi adulti. Neppure si accorgono di cosa sia un bambino, un ragazzo, una ragazza, una bambina. Non li vedono. Vedono solo le balle che si sono raccontati per diventare quello che sono diventati: rotelle di un sistema che se ne frega totalmente di loro. Per la maggior parte gente frustrata, disattivata, resa inerme. E allora che può importargliene dei più piccoli? Che passino anche loro sotto le ruote del cingolato chiamato scuola, il più presto possibile, affinché poi siano docili, sottomessi, manipolabili.

O certo, c’è qualcuno più sensibile. Si salvi chi può. Ognuno si inventa la sua scuolina, se ha la forza e il conquibus per farlo. E chi non può? E cioè il novantacinque per cento della popolazione almeno?

E avanti! Ora, non li avessero già messi ai ceppi di una digitalizzazione dell’esperienza che li ha derubati persino del gusto di giocare, di vedersi per strada, di ballare, di scappare ogni tanto per perdersi in un bosco, dell’amore perfino, ora l’ultima mossa, per rinchiudere la bara, sarà la digitalizzazione della scuola, la definitiva cancellazione dei corpi, la sublimazione decisiva dei desideri, la repressione totale anche di quella piccola finestra che un insegnante più vivo degli altri, con il suo esempio eroico, poteva aprire. Avremo programmi, lezioni e attività preconfezionate, a una dimensione, come li vuole chi comanda. Un processo già in atto da tempo, con la riduzione di tutto ciò che non serve ad essere occupabili, cioè pronti per l’uso.

Faccio fatica a scrivere, sono stufo, da troppo anni combatto con i mulini a vento, con ben scarsi risultati. Siamo una società di merda, consentitemi di dirlo, abbiamo a cuore i diritti di tutti, anche quelli dei topi (con rispetto per la categoria) ma dei bambini, degli adolescenti, cioè dei nostri figli, che non hanno chiesto di venire qui, sia chiaro, che siamo noi ad averli messi qui, non riusciamo a vedere neppure le esigenze minime. Esigenze ormai represse (o che esplodono in modo rabbioso) ma che traspaiono dai loro occhi sconfortati, quando la mattina incredibilmente presto li vedi, alla fermata dell’autobus, con i loro trolley,  il sonno, e la prospettiva magari del compito di matematica, e che risuonano come un urlo, pressappoco come quello dipinto da Munch un centinaio di anni fa.

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One comment on “L’urlo soffocato dei bambini e dei ragazzi”

  1. Antonio Cana

    I cuccioli odierni sono figli dell’accettazione ingenua della loro castrazione: Confinamenti, restrizioni, violenze visibili e invisibili negli ultimi anni avrebbero fatto sobillare anche il più fantozziano cineforum di benpensanti. I mulini a vento che giustamente cita sono usciti allo scoperto, non che ce ne fosse bisogno, propinando “wokismo” = enuchismo. Chi negli ultimi 40 anni non ha voluto fare i conti col fatto che dall’epica sconfitta subita per “riprendersi la vita” sia nato solo il vuoto cosmico, e di recente, il masochismo ideologico e intellettuale dei “soyboy”, fa enorme tenerezza. Gli attuali innocenti cuccioli cresceranno sprecando la loro vita incosapevolmente, a chi invece ha coltivato consapevolezza pensandosi un buon cattivo maestro per il fatto di aver letto i libricini giusti, buona notte e sogni d’oro

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