Forse. Appunti sul coprifuoco da virus

Forse. Appunti sul coprifuoco da virus

Alcuni (pochi ma significativi) amici mi chiedono di dire la mia, di scrivere qualcosa su questi giorni.

Rilutto, mi ero imposto il silenzio. A volte credo si debba tacere, avere il tempo per riflettere. Ma non voglio neppure sembrare troppo altero.

Dirò cose disordinate.

E’ un tempo in cui tante cose vengono al pettine, i tanti tumori della nostra vita assurda. Questo coprifuoco mette a nudo la nostra vulnerabilità ma anche i nostri miserabili limiti. Limiti di chi ha vissuto troppo in fretta e male, preda di mete insensate.

E tuttavia non so assumere toni di protesta, di sconcerto, di antagonismo.

Ci sono i morti. Certo, si dice, ci sono sempre stati, l’influenza ha sempre mietuto vittime, nel silenzio. Ma oggi sono pubbliche. Ogni giorno un bollettino di guerra. E di fronte ai morti si dovrebbe anche un po’ tacere.

E poi ci sono i famosi “angeli” della sanità, il personale medico e infermieristico, nonché quelli che puliscono e fanno i lavori negli ospedali. Per me che gli ospedali li conosco anche troppo bene, per averci passato anche troppo tempo, il rispetto per questa gente, che non ho affatto sempre amato ma che so che fa turni difficili e fa fatica, non può mancare.

Occorre avere rispetto per chi ha scelto (scelto?) di stare vicino a chi sta male e a chi muore.

Io non potrei. Troppo fragile. O troppo egoista, chissà.

Quello che vedo. Confusione certo, come è normale.

Tanta gente che si dà da fare, un po’ a vuoto. Quelli che organizzano flash-mob, quelli che intrattengono i bambini e i ragazzi immaginando che siano assuefatti a essere intrattenuti. E forse è tristemente così. Anche perché sono reclusi in casa. Case che non conoscono, perché da sempre sono stati portati fuori, in quelle brutte case che chiamiamo scuole.

Bambini e ragazzi che sono “incubi” per tanti genitori. Uno dei tanti nodi che vengono al pettine. Questa frattura tra genitori e figli, questa non-conoscenza, questa insofferenza. Le famiglie si rivelano alla fine per quello che sono. Caricature del bel sogno di casa, amore e figli maschi.

Non si sa stare insieme. La paura di questa energia soffocata dei bambini a cui si è sempre sfuggiti sale. Aiutateci a tenerli impegnati.

Sa di grottesco eppure è vero. E’ davvero così.

Vengono al pettine i nostri modi di abitare, il soffocamento degli appartamenti, questi piccoli carceri che si credeva di essersi cuciti su misura salvo che in realtà sono perlopiù dormitori e abitarli di giorno è un incubo.

L’impossibilità di diminuire. Alle belle prediche, mie comprese, di chi vorrebbe che si fosse capaci di rallentare, di non fare, di godere il silenzio di queste giornate con poche auto, risponde l’ansia da non fare appunto. Chi non ha mai imparato a leggere si sforza ma non è capace. Ci si attacca ai social, ai cellulari, si organizzano party on line, probabilmente si fa sesso on line.

Che non sapessimo stare soli si sapeva, ma ora è chiaro che non si stare neppure insieme, specie insieme ai propri figli. Che si rivelano per quello che sono, energia incatenabile, anche se noi abbiamo scelto di metterli in catene così presto nei reclusori scolastici.

Ammiro chi prepara giochi da fare a casa con i bambini, chi scrive novelle o le mette a disposizione, chi raccoglie i diari del tempo del coprifuoco, gli operatori indefessi del benessere, le dame di san vincenzo del cerotto sulla ferita purulenta.

Quello che si vede però è l’angoscia, ancora contenuta ma che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Perché noi abbiamo interiorizzato l’idea che ogni cazzata ci venga in mente possiamo farla. E ora che siamo costretti a limitarci, sale l’angoscia.

Mi chiedo quanti mariti e mogli stanno soffrendo le pene dell’inferno perché non possono raggiungere i loro amanti e sono costretti a stare insieme alla “dolce metà” che tanto dolce non è.

Poi ci siamo noi, i soli. Un po’ più allenati ma comunque sotto coercizione. Perché anche il solo ama la sua libertà. Anzi ne è schiavo. Costretto a rimanere forzatamente a casa a guardarsi allo specchio dopo un po’ vorrebbe qualsiasi cosa vivente per distrarsi da sé.

Poi ci sono i saggi, quelli che sanno come fare, quelli che predicano, quelli della meditazione e dell’autoguarigione, quelli delle piccole cose che rendono felici.

Sinceramente non lo so. Non so cosa dire a chi mi chiede di dire qualcosa sulla nuova reclusione dei bambini e dei ragazzi. Se non: signori, questo è il nostro mondo. Un mondo di territori così antropizzati che non c’è spazio neppure per i cani. Non c’è da stupirsi che il virus corra così in fretta in un modo così sovraffollato, così accatastato gli uni sugli altri. L’abbiamo voluto noi così. Ognuno nella sua cella a pochi millimetri da quella dell’altro.

Dove devono andare i bambini senza mettere in pericolo la salute dei loro “nonni”, come si ripete incessantemente?

E’ un laboratorio interessante, sotto il profilo pedagogico, questo. Fa venire in mente certi film di Bergman, che davvero sapeva indagare a fondo nell’incubo delle famiglie, delle vite a stretto contatto, spesso coatto.

E’ il momento di fare i conti con la vita che tutti bene o male abbiamo scelto. A chi ha detto che non voleva rinunciare a nulla. Famiglia, figli, lavoro, realizzazione, successo. Adesso deve fare i conti con tutto ciò che veniva respinto nei brevi tempi morti, week-end, vacanze, rigorosamente in coda per scappare dalla morsa delle nostre belle e smartcittà.

Sulla Milano super efficiente c’è da sorridere oggi. Le città del nord con i loro fantastici servizi, per agevolare ognuno a correre sul posto di lavoro e lasciare i figli in scuole vecchie e schifose e i vecchi a imputridire negli ospedali e negli ospizi.

Non so cosa dire ma credo che questo tempo ci metta di fronte alla follia non della vita in questo momento ma della vita prima di questo momento.

Non so se ne usciremo davvero. In fondo questo è un cataclisma che ne segue altri, solo un po’ meno percepibili dal nostro mondo occidentale. I disastri climatici sono già arrivati, le epidemie hanno falcidiato paesi di cui non ci è mai fregato nulla. Chernobyl ci ha sfiorati ma non ha modificato per niente i nostri comportamenti.

Non ho molta fiducia che dopo le cose andranno diversamente ma se dovessi dare un suggerimento direi: stiamo in questa confusione, guardiamo il danno e sentiamolo, sentiamo in quale casino viviamo da troppo tempo, ascoltiamo il rebound di tutte le scuse, tutti gli alibi che ci siamo concessi per non curarci di nulla che non fosse il nostro ombelico per troppo tempo. Ascoltiamo questo silenzio strozzato. Non riempiamolo di nuovi gadgets tanto per allontanare il tanfo di morte che sale da questa nostra bella società.

Dubito che cambieremo. Dipenderà anche dalla durata di questo stop. Di questa imprevista doccia fredda.

Ma forse potremmo provare ad ascoltare cosa viene fuori dal cratere, come il cratere delle torri gemelle, senza la fretta di coprirlo subito, per poi riprendere a costruire torri e altre catastrofi.

Forse, e sottolineo forse, potremmo provare.

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One comment on “Forse. Appunti sul coprifuoco da virus”

  1. Salvatore

    Grazie Paolo. Molto bello. Onesto, sincero, tenero e bello.

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