Pedagogia “sui generis” (appunti in corso d’opera)

Pedagogia “sui generis” (appunti in corso d’opera)

Terreno quanto mai spinoso e enigmatico, nel quale, per avanzare o addirittura inoltrarsi occorre una mappa e una bibliografia in continuo aggiornamento, sarebbe più saggio evitarlo. E tuttavia, in tema di tabù e senza tema di tabù e punti ciechi, si proverà ad appostarsi se non altro sulla soglia, per esprimere qualche sussurro sul viavai.

Viviamo nell’epoca in cui la parola genere (in senso sessuale) è una parola polisemica e tagliente. Si fatica a maneggiarla ma ancor più si dovrebbe desistere dal tentare di definirla. Cosa che si eviterà di fare. E tuttavia, specie penetrando nelle oscure stanze del mondo dell’educazione, si dovrà pur tentare di offrire qualche spunto di riflessione.

Tante le questioni, molti gli oracoli ma poche le risposte soddisfacenti.

Il bambino è maschio o femmina? Potremmo cavarcela un po’ all’antica dicendo che in fondo i bambini, i prepuberi s’intenda, non son né carne né pesce benché a ben guardare si possa distinguere, nelle mutandine ove il pistolino ove la farfallina. Ma nessuno osi mettere gli occhi nelle mutandine dei bambini, tranne le lor madri e nonne, uniche depositarie, insieme ai papammi (i nuovi padri), di codesti traffici inferiori.

A buon conto distinguere troppo i sessi è diventata una iattura, peggio un errore pedagogico, una tragica svista, una colpa.

Bambini e bambine, o bambine e bambine se si vuol utilizzare il “femminile inclusivo”, uno dei tanti nuovi congegni della battaglia sui generis, richiedono ugual trattamento e uguali protocolli. Tanto per cominciare, cessi alla turca per tutti, non per i diversamente abili che richiedono talora, secondo i casi, tubi e supporti e vasi più larghi a prova di getto deviante.

Banditi i colori rosa e azzurro, sessisti, e i giochi differenziati, nel nuovo secolo i bambine o li bambin* debbono assolutamente essere tenuti al riparo da qualsiasi condizionamento che possa indirizzarli troppo precocemente per un verso o per l’altro (maschile o femminile).

Fortunatamente i bambine se ne fanno un baffo e si trovano i loro giochi da soli. Se un bambin∂ preferisce la Barbie e una bambin* il kalashnikov in miniatura è solo gioia per ogni autentico democratico non sessista.

Facciamocene una ragione. E’ finita l’epoca dei vestitini, delle scarpine di vernice da una parte e dei calzoni corti e delle bretelle dall’altra. Finalmente abbiamo la tutina unisex, nera o bianca, alla larga dai colori che comportano etichettature sui generis (al massimo beige o tortora).

Si gioca a tutto tutti. Ci si veste uguali e la curiosità sulla sessualità altrui è bandita, perché non c’è e se c’è è tutta da vedere (come andrà a finire).

Attività sportive uguali per tutt* e soprattutto censura sul linguaggio: non esistono più le ragazz* maschiaccio o i ragazz* efebi. Ognuno è come gli va, anche a seconda della giornata. Il sesso è fluido e, come già detto nel capitolo apposito, oggi più che fluidi si è sciolti.

Quindi attenzione ai regali: solo unisex. Scarpe da ginnastica ma rigorosamente senza fronzoli per le bambin*, tutine unisex (come già osservato), giochi di intelligenza, guantoni per entrambi, evitare qualsiasi cosa che possa far presumere un orientamento sessuale. No alle bambole, ai soldatini o alle armi a meno che non sia chiaro che si sono invertiti i vettori: bambole ai maschi (così scoprono il loro lato femminile, o, comunque, non lo reprimono) e bombe a mano (finte) alle bambine (così scoprono il loro lato amazzonico, o, comunque, non lo reprimono).

Non desidero che queste osservazioni ironiche vengano interpretate come una sorta di sottovalutazione delle poste che le questioni di genere e le giuste battaglie per i riconoscimenti di identità differenti e spesso in divenire giustamente rivendicano. Né per carità desidero che si pensi che viene sottovalutata la questione di fornire a maschi e femmine, fin dai loro primi vagiti, un trattamento che eviti loro di essere confinati nelle cornici strette di un immaginario di genere e di comportamenti obbligati che certamente potrebbero castrarne possibilità e libertà di affermazione personale. E tuttavia credo occorra un poco di vigilanza su eccessi che rischiano di gettare il/la bambin* (appunto) con l’acqua sporca. Negare la mascolinità o la femminilità di un soggetto in nome di una presunta neutralità del genere mi pare davvero eccessivo, al di là dell’ovvia necessità di favorire in entrambi i sessi una frequentazione di tutto ciò che per lungo tempo è stato scisso e giudicato improprio (la mascolinità della femmina e la femminilità del maschio, soprattutto da un punto di vista simbolico, poiché anche queste sono nozioni storicamente e culturalmente determinate e transeunti).

Non so se l’”apertura” del femminile, inscritta nel corpo della donna, come sosterrebbe Annie Le Brun, o la penetratività maschile debbano in qualche modo essere coltivate, certo è che negarle rischia di essere anche controproducente. Che il territorio esplorativo di un bambino debba essere il più ampio possibile è fuori discussione ma che ci sia una guerra per contrastarne l’appartenenza di genere mi pare altrettanto fuorviante. Il vero punto semmai è provvedere a che nessuno debba soffrire della sua identità di genere, quale che sia e in quale punto del proprio divenire si collochi. Questa è un’altra questione, ben più decisiva. Ma questa pedagogizzazione del genere in direzione di una totale neutralizzazione della mascolinità e della femminilità è certamente piuttosto inquietante.

Con l’irruzione della legge del consenso poi sembra che prima di andare a letto si debba stendere un contratto (persino la buonanima di Sacher-masoch, che pure se ne intendeva, si rivolterebbe). Erotismo e contratti, con buona pace anche di Michel Onfray, mi pare stiano in mondi incompatibili, a parte che nella conclamata perversione, per questioni di sopravvivenza. Anche la famosa eumetria (sempre Onfray e altri) è una beata utopia. La passione non può essere imbrigliata in un reticolo di atti formali di non belligeranza, pena la sua estinzione e la sua sostituzione con una ginnastica sicuramente benefica e ortopedica ma priva di qualsiasi appeal.

Aggiungo: l’amore non è etico, sorry. Non è morale, non è innocuo, non è domabile né recuperabile, l’amore (Eros) è quella porta che non ci appartiene attraverso cui tocchiamo e “siamo infinito”. Prendergli troppo le misure rischia di soffocarlo. E una pedagogia erotica non se lo può permettere.

(…)

Infine, si tratta di porre nella differenza simbolica il rapporto iniziatico, interiore ed esteriore, del maschile e del femminile, come tensione reciproca che favorisce lo hieros gamos, e non di azzerare le differenze in nome di un soggetto androgino perfettamente omogeneizzato in funzione delle esigenze di un’economia di mercato che continua a fondare le sue fortune sulla prevedibilità, dominabilità e manipolabilità dei suoi clienti, sempre più devoti a sottomettersi al ciclo di produzione e consumo  e senza più avere un ambito simbolico e concreto di dedizione al non fare, alla cura, alla quiete e all’ospitalità (femminile).

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