Test invalsi e sapientoni autoriferiti

Test invalsi e sapientoni autoriferiti

E siamo alla consueta manfrina sui test invalsi. Quest’anno, più reazionarmente degli anni precedenti però lo slogan è: i nostri ragazzi non sanno leggere l’italiano! Percentuali inammissibili! Disastro della scuola e compagnia cantando. Nel coretto delle prefiche naturalmente il sapido gruppetto di ottuagenari inossidabili con la loro cacofonia nostalgica.

Ma veniamo alla questione: i dati di quest’anno riportati dai media insistono sul dato, quanto allarmante, che il 35 per cento degli studenti di terza media non capisce un testo in italiano. Questa è l’informazione, che poi si può approfondire andando a verificare la prova, incazzandosi come al solito per la ridicolaggine pseudoscientifica degli argomenti e così via. Se poi si va a vedere si nota che in matematica è pure peggio e in inglese non stiamo meglio.

O tempora o mores, intona il coro dei benemeriti dell’influenzamento tonitruante da rubrica giornalistica.

Peccato che non si capisca che poco di questi dati. A prescindere dal calcolo del dato, tutto da discutere ma lasciamo perdere, qui la questione è (e mi sembra fondamentale): in rapporto a cosa? A un anno fa, a dieci anni fa, a cinquanta anni fa? Cosa hanno in mente i geni che parlano di scuola che ha tradito la vocazione letteraria e linguistica, che si ciondola con le didattiche attive, che fa prevalere l’immagine sulla parola (ma dove? Ma quando?): (oggi la Ronchey se la prendeva con “un colto cattedratico che sembra aver messo in dubbio la logocrazia in favore dell’immagine”)?. (Di sicuro non sono io perché non sono nell’area di conoscenza della nota VIP per grazia ricevuta però è esattamente quello che dico da trent’anni). Ma poco importa.

La domanda che vorrei fare a costoro è: a quale scuola vi riferite dicendo che era meglio, che promuoveva più “capacità di lettura in italiano” e che poneva al primo posto le discipline, come ho letto da qualche altra parte o non la (del tutto supposta e inesistente peraltro) interdisciplinarità o transdisciplinarità?

Dov’è mai stata questa scuola che assicurava più del 70% di comprensione dei testi nei suoi allievi di terza media? Quando? Forse nel periodo fascista? O in qualche collegio esclusivo? O nei seminari dei gesuiti? Spiegatemelo perché io non sono vecchio come voi grazieadio ma abbastanza vecchio da ricordare le scuole degli anni 60 che tutto erano fuori che efficienti sul piano formativo e istruttivo, anche prima del 68. Che certo erano dure, violente e selettive come piacciono a voi ma non garantivano delle classi di ragazzi con competenze così elevate come sembra voi riteniate. Anzi.

Forse che il nostro paese, negli anni 50 o 60 non aveva zone depresse come e più di oggi, dove la comprensione dell’italiano era pressocché zero, per non parlare dei tassi di dispersione? Ma dove eravate voi per aver visto tanti gagliardi risultati nella scuola della disciplina e dell’esercizio duro e dell’italiano forzato a calci nel culo? Forse nel vostro guscio autistico, mi viene da pensare. Forse voi allargate solipsisticamente la visione della vostra personale vicenda biografica a quella di milioni di bambini che invece la  scuola l’hanno vista soprattutto per quello che era: classista, vessatoria, incomprensibile, del tutto incomponibile con le loro vicissitudini esistenziali, sociali ed economiche? Oltre che psicologiche e culturali?

Ma di che state parlando? Dove eravate? Se non nel chiuso di famiglie probabilmente con un alto valore della cultura intellettuale (dio ce ne scampi e liberi dal momento che non di intellettuali avremmo bisogno, il meglio che possa produrre la nostra marcia educazione scolastica, ma di persone, persone vere, con corpo anima emozioni, mente e un’etica profonda delle relazioni che non si sono mai viste ahimé in una struttura profondamente antidemocratica, competitiva e selettiva come quella scolastica, specie quella che avete vissuto voi e che tanto desiderate che ritorni).

E poi giù a prendersela con il 68, il male assoluto, che demolì le vestigia della “Vecchia Scuola”, quella delle bacchette e dei cattivi e dei buoni. La scuola di insegnanti spesso ben peggiori di quelli attuali ma che compensavano la loro insipienza con il carisma delle botte.

Non è il 68 che ha rovinato l’istruzione, è l’istruzione che non è mai stata pensata come si deve, mi spiace, cari nemici che strombazzate sui giornali e nelle televisioni. La scuola è sbagliata ab ovo. Sì, ok, può propiziare una qualche falsa alfabetizzazione, che resta però sempre pronta a invertirsi perché mai davvero è stata interiorizzata come curiosità e voglia di cultura e di sapere a causa di un insegnamento sterile, inutilizzabile, fasullo e pomposo.

Ah, no, non mi mescolate con l’altra suburra dei vati della didattica e della metodologia, altrettanto caproni pure quelli. Non sarò un illustre cattedratico, per quanto cattedratico, ma qualcosa credo di avere imparato. E per esempio cosa è apprendere, imparare veramente e non per compiacere il datore dei voti e delle promozioni. E anche insegnare veramente.

Si apprende con naturalezza quando non si è sotto valutazione e sotto controllo di un occhio giudicante e paranoide. Si impara vivendo e scontrandosi con le difficoltà e i problemi che la vita continuamente pone di fronte, di tutti i generi, in modo reale e motivante. Si impara quando c’è un maestro e una maestra in senso pieno: persone vive, che sanno stringere rapporti, anche molto forti, con gli allievi e non in aule depurate di qualsiasi compromissione emotiva. Si impara dai maestri come esempi, vitali e appassionati, Socrate non ha avuto bisogno di scrivere nulla per avere straordinari allievi “competenti”, né Gesù o Buddha. Perché si impara per iniziazione, per partecipazione, per prossimità, per amore. Sorry. Non solo nei giardini di Epicuro ma anche nelle botteghe, nelle squadre sportive o nei cori di canto.

Razza di filistei e di filibustieri, che vorreste la scuola fino a 18 anni, per incanaglire ancora di più un popolo già avvilito e depresso di bambini e giovani che sono costretti a vivere nel mondo che voi sapientoni della Vecchio Scuola avete costruito ( eh no, io non me ne sento responsabile, per me può andare in malora). Questo mondo dove bisogna organizzare un’ora della felicità o un’ora della pace nel curricolo scolastico per fare capire ai ragazzi cosa siano ( ed essere così certi che mai lo capiranno: bene, direte, ora saranno anestetizzati definitivamente!).

Ma finitela. Mai c’è stata una scuola che andasse sopra il 60% di quella competenza di lettura che fa gongolare gli Inval(s)idi come i probiviri di Lisbona, quelli che hanno applicato i logaritmi economici (di investimento, di capitale umano, di debiti e crediti) alla educazione.

Beati ottusi autoriferiti, banda di privilegiati guastafeste, allocchi teste di legno, volete tacere e lasciare fare a chi dell’educazione qualcosa capisce, che crede nel valore dell’esperienza e delle immagini sì, anche di quelle, perché lavorano al corpo i bambini, molto più delle vostre parole cieche e ghiacciate dai libri di testo? Siamo forse diventati un popolo più colto con le vostre vecchie scuole? Tanto da meritarci prima 40 anni di Democrazia Cristiana e poi 20 di Berlusconi e poi l’immondizia di oggi?

Ah, ho capito, forse voi credete che le vecchie scuole ci dessero almeno dei farabutti un po’ meno farabutti, quelli della DC invece che quelli di Forza Italia. Sbagliate, sono sempre gli stessi, e non a caso son quelli che continuano a stipendiare intellettuali svenduti come voi proprio per fare in modo che non si cambi mai niente e soprattutto niente in educazione, anzi magari fomentando qualche nostalgìa, che non fa mai male e giustifica nuovi rigori e nuove castrazioni.

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