Sul femminile e il maschile. Appunti per una discussione

Sul femminile e il maschile. Appunti per una discussione

La questione maschile/femminile oggi è diventata incandescente. In un modo che non mi piace affatto. C’è un clima pesante e si spara a vista non appena si prova ad aprire una riflessione un po’ meno unilaterale di quella che circola prevalentemente. Detesto gli aut aut e le imposizioni a schierarsi acriticamente da una parte e dall’altra. Sento d’altra parte il bisogno di argomentare alcuni dubbi che ho avuto modo di esprimere frettolosamente in alcune occasioni specialmente per quanto riguarda la guerriglia antisessismo, il cosiddetto #metoo, certe letture un po’ schematiche del tema del femminicidio e più in generale un (ri)montare di un femminismo estremo che non mi piace. E che secondo me non aiuta affatto a far evolvere la questione. Al contrario.

Io credo che il maschile e il femminile siano qualcosa di ben più complesso e fondamentale per relegarli alle polemiche velenose su certi comportamenti o su certi gesti, certamente da rifiutare e condannare ma anche da analizzare alla luce di quella complessità e non solo di qualche etichetta riduttiva e puramente polemica.

Maschile e femminile sono termini che riguardano sfere della vita su questo pianeta che usiamo da sempre e che distinguono, seppure talora in modo non sempre netto ma riconoscibile due grandi partizioni del nostro essere qui e del tentare di dare nome a ciò che ci accade. Maschile e femminile, che già nel linguaggio connotano pesantemente molte parole (e non sempre nello stesso modo nelle diverse lingue, almeno per quanto riguarda quelle del nostro emisfero) ripartiscono mondi, sfumature dell’esperienza, forme dell’immaginario, del simbolico, delle cose. Si tratta di una distinzione per così dire originaria, che taglia in certo senso il mondo in due, secondo la sua fisionomia fenomenologica ma anche che da sempre tenta di coglierne la necessaria conciliazione. E non voglio neppure citare le infinite forme di tale conciliazione che governano intere visioni del mondo (ma, per non essere generico penso per esempio alla partizione simbolica tra yin e yang, tra shiva e shakti, tra le infinite figure che simboleggiano tali due ordini nella mitologia e nella mistica, alle nozze mistiche nell’alchimia e in molte altre vie esoteriche ecc. ecc.)

Il maschile e il femminile sono un dato culturale e sociale ineliminabile e fondamentale, ma sono anche un dato fisico. I corpi, che secondo me restano le radici di ogni nostro modo di intendere le cose, sono maschili e femminili (prima comunque di qualsiasi interpretazione psicologica o di qualsiasi autocomprensione che li voglia negare o cambiare).

Il corpo della donna e dell’uomo sono profondamente diversi: sembra una banalità ma giova ricordarlo. La donna ha la vagina e l’uomo il pene. La donna ha il seno che l’uomo non ha. La donna ha un corpo che può contenere la vita che nasce, l’uomo no e così via.

Questo dato biologico si accompagna anche a manifestazioni fisiologiche differenti. La vagina non è il pene e il clitoride non è una specie di pene essendo all’interno del genitale femminile. L’uomo non conosce le mestruazioni né le perdite vaginali. La vagina è molto più complessa del pene e il clitoride, che in prima istanza è l’organo del piacere sessuale, non fa tutt’uno con l’orifizio vaginale il che fa sì che la sessualità della donna non sia ovvia come quella dell’uomo. Che per esempio richieda esercizio, conoscenza, esplorazioni molto più delicate di quelle che l’uomo arriva a vivere anche in mancanza di una specifica autoconoscenza.

La vagina va verso l’interno ed è apertura e il pene verso l’esterno ed è chiusura e quindi, al di là di ogni banalità ovvia, un significato simbolico questo ce l’ha benché io ora voglia lasciare aperta l’interpretazione di questo fatto proprio per non aizzare le morbosità di chi non vuole essere contrassegnato in qualche modo. Sottolineando nondimeno, con Annie Le Brun, che “le donne possiedono l’inquietante privilegio di non avere un corpo chiuso su sé stesso e di essere dunque, proprio per la forma del loro sesso, simbolicamente aperte su tutto ciò che è altro da loro” (Une obscure utopie).

Tutta la tradizione simbolica della nostra e della maggioranza delle altre culture ci consegna aree semantiche legate al maschile e al femminile simili e fortemente  connotate (che si parli di epoca matristica o di epoca patriarcale tra l’altro, con buona pace de Eisler e Gjmbutas). Dire che il femminile è connotato dall’apertura, dall’accoglienza, dal contenimento o dal nutrimento non credo sia necessariamente insultante. Così come dire che il maschile sia simbolicamente penetrativo, ascensionale, volto verso l’esterno e aggressivo non è insultante. E’ solo una analogia simbolica che poi, letteralmente, non significa affatto che un uomo e una donna concreti debbano incarnarla. Sappiamo bene che esistono uomini contenitivi e donne combattive o uomini nutritivi e donne spirituali e ascensionali. Sono solo modi di distinguere sfere simboliche che connotano la nostra esperienza, sulla base di un riferimento materiale, fisico, biologico. Non per niente sono esistiti filosofi e psicologi che hanno posto al centro del cammino di evoluzione di ciascuno di noi la differenziazione e l’integrazione di queste grandi sfere nella propria vita psichica e fisica (Jung esemplarmente tra i tanti).

Mettere insieme il maschile e il femminile, proprio come sfere vitali distinte e che si completano vicendevolmente, è un grande compito culturale, civile, affettivo, relazionale. Il che, ripeto, non significa mettere insieme necessariamente un uomo e una donna concreti. Talora le componenti maschili e femminili sono distribuite in maniera diversa in un uomo e una donna o in un uomo con un altro uomo o in una donna con un’altra donna ecc. ecc.

Qui però la considerazione che a me preme è che si tenga ferma la necessità di cogliere la valenza di questa conciliazione e la sua esigenza, che tutti in qualche modo avvertiamo, in quanto incompleti, finiti, mortali e spezzati.

Una spezzatura, a onor del vero, che credo, proprio su un piano biopsichico, sia più marcata nell’uomo che nella donna, perché il suo corpo non può reincarnarsi, non può farsi altra vita, almeno su un piano corporeo (che non è banale). Una donna sì. Il che forse, solo in parte, spiega però perché molte donne sopportino le separazioni meglio di quanto non facciano gli uomini. O anche perché gli uomini sentano più il bisogno di eternizzarsi in opere. Ma lo so che qui le mie amiche nemiche femministe storceranno il naso. Insofferenti che ci possa essere qualche differenza che non sia culturale o storico-sociale e quindi emendabile.

Eppure c’è. Io credo per esempio che gli uomini da sempre facciano più fatica a sopportare l’abbandono femminile perché nella donna c’è qualcosa di insostituibile che ha a che fare con l’area del materno, specie se il materno originario non è stato pienamente soddisfacente. L’abbandono di una donna è sempre rievocazione della perdita del materno, una falla terribile per il maschio. Meno per la donna, che ha comunque un rapporto meno carnale con il padre.

Con questo non mi sogno di giustificare il femminicidio, figuriamoci, ma cerco di entrare in empatia con gli uomini che lo fanno. E talora riesco a sentire quel dolore terribile, che certo è fondato anche sugli strascichi della cosiddetta cultura patriarcale e sul senso di dominio e possesso della donna ma anche su un elemento che ha qualcosa del tremendo, sull’abisso della perdita del nutrimento e della base sicura costituita dal materno.

Ora, è chiaro che le rivendicazioni delle donne sono in larga misura giuste e necessarie. Da tempo. Quando si parla di diritti, di rispetto, di considerazione, anche di quegli aspetti che per un uomo sono difficili da capire (per esempio la paura costante dello stupro che affligge la maggior parte delle donne, coscienti o incoscienti che lo siano, e che le fa muoversi nel mondo sempre sul chi va là), non c’è nulla da eccepire.

Si comincia secondo me a dover eccepire laddove l’accanimento contro l’uomo prende la forma di una persecuzione, a sua volta dettata da un sentimento paranoide. Un sentimento paranoide, lo insegna la psicoanalisi, non porterà all’integrazione. In questi anni, in pochi decenni, molte donne hanno fatto un cammino enorme (almeno a parole) e dobbiamo rallegrarcene. Ma sono ancora in viaggio. Sono in una fase troppo spesso schizoide verso gli uomini, inutilmente polemica e demonizzante. Gli uomini faticano. Non si può pensare di demolire abitudini millenarie in pochi decenni. Occorre aiutare, porsi in ascolto, gli uni con le altre e viceversa, non aggredirsi per ogni parola sbagliata o ogni invito percepito come abusivo.

Gli uomini, la maggior parte, hanno ancora molto bisogno di un femminile accogliente e accondiscendente, fino a che non riusciranno a svilupparlo dentro sé stessi in virtù di una società profondamente mutata, specie nei suoi meccanismi educativi. E le donne stesse debbono imparare ad avere più pazienza in questa fase di transizione. Il che ripeto non significa giustificare gli eccessi ma predisporre le condizioni per poter maturare insieme. Il fatto che le donne facciano continuamente sentire la loro autosufficienza, è nocivo secondo me. Le donne che fanno le cose con le donne e per le donne. Anche basta. Occorre che le donne, proprio perché più avanti, aiutino gli uomini a fare la loro strada. Con attenzione, come sempre hanno saputo fare, con cautela, con pazienza. Perché le donne non organizzano più spesso gruppi misti, lavoro insieme, uomini e donne, esercizi di conciliazione invece che mostrare solo il loro lato polemico, autosufficiente e rivendicativo?

Il #metoo è stato cosa buona e giusta finché è stato uno strumento per combattere la corruzione di uomini senza scrupoli (ma anche di donne ambiziose e senza scrupoli altrettanto. Ricordiamoci che l’ambizione si è sempre servita di comportamenti di prostituzione nei confronti del potere, qualunque potere, prostituzione non solo fisica ma anche mentale, psicologica, operativa, ovunque, dalle aziende alle università ai partiti politici).

Comunque evviva il #metoo, però fino a quando non diventa a sua volta uno strumento di persecuzione gratuito, esagerato, un metodo per sbarazzarsi di qualunque uomo osi avvicinarsi sgradito a una donna.

Denunciare per molestie è un’accusa molto grave, che può rovinare la vita di una persona per sempre, e occorrono motivazioni forti per sostenerla. Si veda il film Il sospetto di Vinteberg per capire cosa può significare un’accusa ingiusta o ingiustificata. Oggi spesso il #metoo è diventato un coltello terribile, un’arma di vendetta o di semplice sopraffazione per chiunque abbia voglia di mettere alla berlina chi non è stato completamente nelle attese dell’altro. Conosco uomini accusati ingiustamente che non si toglieranno più quell’etichetta di dosso.

Naturalmente ci sarà chi dirà che dopo secoli di sopraffazione se ci va di mezzo qualcuno poco importa. Si tratta di un sacrificio necessario per il bene delle donne. Può darsi. Ma io credo corrisponda a uno stato di guerra che non ci fa fare alcun passo in avanti ma molti indietro.

Non voglio tornare all’epoca in cui le donne più avvertite facevano notare alle femministe più estreme che stavano buttando il bambino con l’acqua sporca. Quando queste ultime proponevano per esempio di depotenziare l’elemento passionale nelle relazioni, o feticizzavano l’autosufficienza sessuale (celebre Luce Irigaray quando elogiava l’autoerotismo femminile contro la violenza della penetrazione: “la sospensione dell’autoerotismo si compie nell’effrazione violenta: il divaricamento brutale da parte di un pene brutale”.. in Ce sexe qui n’est pas un), o volevano ripulire le storie della letteratura da tutti i testi anche solo vagamente “maschilisti” (da Baudelaire a Breton).

Però temo stia accadendo di nuovo. C’è molta enfasi su tutto questo oggi certo perché nei media ci sono più donne di un tempo e c’è più attenzione per questi fenomeni anche grazie al femminismo. Però anche perché i femminicidi servono ai media e al potere a parlare di qualcosa di diverso dai misfatti terribili che chi determina i nostri destini intanto, uomini e donne, organizza ai nostri danni.

I femminicidi diminuiranno ma credo anche quando le donne impareranno esse stesse a diffidare di un certo tipo di maschio, anzitutto, che spesso ancora scelgono proprio in base alla sua virilità muscolare e economica e quando sapranno amministrare le rotture con più cautela, delicatezza, sensibilità.

Senza con questo per nulla assolvere gli uomini che hanno abusato, violentato e ucciso, ovviamente.

Occorre fare ancora molta strada perché il maschile e femminile concretamente incarnati da uomini e donne si incontrino davvero, io credo, e l’educazione può fare molto in questo senso, specie un’educazione impartita da persone che abbiano risolto meglio la conciliazione di maschile e femminile dentro sé stesse ma oggi non mi pare che si stia battendo sempre la via migliore. Mai come in questo caso, la guerra, le denunce a 360 gradi, le persecuzioni, il mettere alla berlina il molestatore o il femminicida di turno aiutano poco.

Non siete voi che avete inventato le “buone pratiche”? Occorre inventarne qualcuna e diffonderla a macchia d’olio, pratiche nelle quale uomini e donne e maschile e femminile (che sono cose diverse) dialoghino tra loro, capillarmente, analiticamente, con capacità di ascoltarsi, rompendo con i pregiudizi e le scorciatoie polemiche. Occorre fumare il calumet della pace e saper pazientare perché è una strada lunga, specie quella letterale dei rapporti reali ma ce la possiamo fare, insieme io credo e non gli uni contro gli altri o gli uni semplicemente accodati alle altre a fare la ola.

Detto ciò mi rendo conto che sono solo appunti, razzi lanciati con qualche speranza in un cielo pieno di lampi e tuoni e che certo non sfuggiranno all’artiglieria nemica. So di aver semplificato e schematizzato anch’io. Si tratta di questioni complesse. Spero solo che non faremo diventare tali questioni ostacoli e muri specie per chi ci seguirà, sia esso uomo o donna o una delle tante vie di mezzo, perché nessuno sarà esonerato dal confrontarsi sempre con il maschile e il femminile, così come con il notturno e il diurno e con e il cielo e la terra, da cui nessuna vita può prescindere per realizzarsi.

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2 comments on “Sul femminile e il maschile. Appunti per una discussione”

  1. Vanzetto Stefano

    Grazie Paolo per tutti questi ottimi punti di discussione.
    Da anni ormai sto indagando riguardo a questi temi e al di là di tutti i concetti , dati storici , punti di vista culturali e varie elucubrazioni mentali , quello che più è servito a me è entrare in contatto con la mia coscenza che è sia maschile che femminile e nessuno dei due .
    Il lavoro sulla nascita e sul prima e dopo la nascita è stato un ottimo strumento per entrare in contatto con il mio essere ( in questo caso maschile ) .
    Ho scoperto che l’unica via per una vita felice e consapevole , in questa terra , è l’integrazione con il femminile . Il mettermi a nudo , il coraggio di esprimere i miei bisogni , anche a costo di perdere il senso di appartenenza.
    Mi sono un po dilungato … comunque volevo solo dire che il cambiamento che vorremo vedere nel rapporto fra uomo e donna , forse , prima ancora di dircuterlo , dovremmo tutti metterlo in pratica .
    Un abbraccio , Stefano.

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