Sul marketing dei santoni e sulla traccia incerta dei mèntori

Sul marketing dei santoni e sulla traccia incerta dei mèntori

Oggi, nel marasma e nello spaesamento radicale in cui tutti ci muoviamo, come in ogni decadenza (e questa probabilmente le batte tutte), c’è gran fame di maestri e di ammestramenti.

Che, non a caso, spuntano come funghi.

Funghi perlopiù marci o velenosi ma pur sempre funghi, in questo sottobosco putrescente e maleodorante.

E in generale quelli che vanno per la maggiore sono i più truffaldini. Venditori di superstizioni, profeti di ogni genere di nuova spiritualità e religione, tanto più osannati quanto più le loro parole sono geremiadi generiche e universalistiche e i loro precetti esercizi faidate a dir poco risibili.

L’ingenuità e l’ignoranza fanno sì che facciano cassetta questi santoni nostrani o esotici cucinati comunque in salsa orientale, anche perché i loro seguaci nella maggior parte dei casi sono figli di Harry Potter, di Game of Thrones più qualche paginetta di Osho o di Krishnamurti trovata su Instagram.

La nostra è sempre più una collettività di personaggi in cerca di autore che si affida a qualsiasi dietetica la faccia sentire in armonia con l’ultima panacea spirituale a portata di radar fatto in casa.

E quanto si abbocca alle meditazioni, ai massaggi, ai pendolini, alle campane tibetane e a tutti i ritiri ascetici di ogni marca e fragranza d’incenso!

Per non parlare dell’onda dei poeti (diciamo poeti…) e dei pittori (diciamo pittori…), della nuova spiritualità, che fanno proseliti di adepti osannanti ovunque strapazzando l’opera della scrittura con l’uso inconsulto dell’a capo tanto per mettere in verticale (e non sarà un caso) invece che in orizzontale le loro perle di saggezza (o dell’inconsulta oleografia esoterica, per i pittori, quasi non fosse successo nulla nell’arte negli ultimi duecentocinquant’anni).

Poeti con una idea a dir poco ingenua di cosa significhi davvero poetare e che forse hanno beneficiato delle trasgressioni delle avanguardie come di un nulla osta a qualsiasi scempio del canto in versi e probabilmente senza neppure aver frequentato quelli che, avendone cognizione, sapevano come smontare e rimontare un’operazione davvero poetica (da Zanzotto a Sanguineti, per citarne un paio, alla Rosselli o a Antonio Porta per dirne altri).

Ma tutti questi turiferari dell’illuminazione imperversano e impediscono a chi davvero cerca di trovare qualcosa. Perché ovviamente è più facile. Hanno soluzioni facili, paroline d’ordine suggestive, promettono di liberarti dal male. Niente incanta come questi venditori di teologie improbabili, dissotterrati alla morte di dio che trionfa ovunque tranne che nei loro sguardi evidentemente obnubilati da non si sa quale trave.

Speculano sul dolore, trasformandolo in un investimento. Quanti ne ho sentiti e ne sento che elogiano i meriti del dolore per poi vendere i loro speciali farmaci che, di volta in volta, risolvono il problema in dodici mosse veloci o in quattro esercizi di focalizzazione cognitiva? Quanti fanno affari sul dolore e la rabbia, propinando presunte vie di risoluzione la cui semplicità e vanità sono talmente sfacciate da lasciare ammutoliti per l’irritazione?

Questi maestri e santoni son paradossalmente più pericolosi dei nichilisti più atroci del nostro tempo, i pubblicitari e i giornalisti. E lo sono forse in modo perfino più subdolo (oltre che funzionali ad ogni tipo di potere come quegli altri).

Perché la vera cerca non si ferma mai sui portatori di ricette, di nessuna matrice, il maestro è sempre altrove da dove credi di averlo catturato. Perché non si ferma mai. Non lo trovi lì dove lo aspetti, lui si è già mosso di nuovo.

I mèntori sono sempre nel dubbio, oggi sono qui ma il giorno dopo sono tornati indietro. Si legga il diario di Etty Hillesum per capire che cosa è cerca e non spaccio di stupefacenti. Si leggano le poesie di Sylvia Plath, ci si rivolga alle pagine di Artaud o a quelle di Joë Bousquet o ai quadri di Van Gogh o di Soutine. Quelli han spremuto al dolore l’unico possibile elisir che se ne possa trarre, l’atto creativo. Perché il dolore, quello vero, non è qualcosa che si risolve (e comunque non si risolve) con la meditazione o i mantra, il dolore è insopportabile e si situa nella carne e occorrono tempo e oscillazioni e orrore e terrore anche solo per poterne estrarre una forma provvisoria.

Non c’è fede, non c’è idea, non c’è dottrina che salvi, solo tracce (che non salvano ma fanno respirare), nelle quali puoi, se hai occhio, cogliere bagliori, pietre preziose lasciate sul cammino, sentieri che biforcano ermeticamente.

La maggior parte di questo nostro mondo di disperati è pronto ad arruolarsi in qualunque esercito della salvezza senza capire che gli unici maestri sono mèntori, nel senso che non istruiscono e non prescrivono ma indicano in modo oscuro.

Che l’eros è il loro pane, eros come pulsione vitale, desiderio di condivisione, cura del piacere e della solitudine.

Non ci sono maestri ma mèntori per chi cerca davvero e c’è l’amore, c’è la ferita, c’è la perdita di sé e talora anche la follia dell’incomprensione e della marginalità.

Che il vero mèntore ti racconta solo quello che ha lasciato impronte e cicatrici in lui, senza in nulla pensare che sortirà il medesimo effetto su chi lo ascolta.

Solo occasioni, poroi, vie, luminescenze subito pronte a scomparire. Chi vuole un maestro deve cercare qualcuno che è in cerca, non qualcuno che ha (falsamente) trovato.

Chi ha trovato ha smesso di cercare, si è trasformato in un idolo, come ogni idolo tanto abbagliante quanto fuorviante.

Ma l’ignoranza profonda, quella che fa confondere la luce opaca degli idoli con i bagliori iridescenti degli “albatros”, degli erranti, dei poeti, domina la scena.

Perché in fondo si vuole solo essere rassicurati, il più possibile a buon mercato, con una ricetta facilmente comprensibile, facilmente praticabile e se possibile anche disinfettata da ogni compromissione intima.

Laddove è la spoliazione e il frammento l’unico sapere affidabile possibile, spoliazione dalle ricette, frammenti di percorsi, porte strette e labirinti che rendono credibile un esempio, null’altro.

 

with No Comments 1

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *